La riforma del Catasto continua a rappresentare uno dei temi più caldi dell’agenda politica italiana, tanto da mettere a dura prova la tenuta della maggioranza di governo. La revisione è contenuta nell’articolo 6 del disegno di Legge delega sul fisco, messo in discussione soprattutto dai partiti di destra e sul quale il premier Draghi non ha escluso il ricorso alla questione di fiducia. Ma cosa comporta la riforma del catasto e perché fa tanto discutere?
La nuova riforma del Catasto è fondamentalmente una questione di aggiornamento del patrimonio immobiliare nazionale (il cui archivio è ormai datato) e di ammodernamento delle tecniche di rilevazione dello stesso.
Gli obiettivi della riforma sarebbero infatti quelli di “modernizzare” i criteri di rilevazione, arrivare a una nuova mappatura degli immobili (identificando gli abusivi e i terreni agricoli edificabili) e adeguare i valori patrimoniali e le rendite catastali agli attuali prezzi di mercato, prevedendo meccanismi di adeguamento periodico.
La nuova mappatura punta essenzialmente a scovare gli “immobili fantasma” (abusivi o comunque non registrati nel catasto) e correggere gli errori di censimento, combattendo di conseguenza l’evasione fiscale.
Il rapporto “Statistiche catastali del 2020” dell’Osservatorio del mercato immobiliare della stessa Agenzia delle Entrate ha infatti rilevato 1,2 milioni di unità immobiliari non censite a livello nazionale.
L’Articolo 6 della legge delega che parla di riforma catastale è diviso in due commi, che corrispondono ad altrettante fasi della revisione.
La prima fase consisterà in una sorta di “operazione trasparenza”. Si cercherà infatti di dare tutti gli strumenti ai Comuni e all’Agenzia delle Entrate per far riaffiorare tutti quei terreni e immobili “fantasma”, non censiti dal catasto. Allo stesso modo verranno accatastati correttamente tutti i terreni edificabili ma accatastati come agricoli e tutti gli immobili abusivi.
Nella seconda fase, è invece prevista l’introduzione di nuovi criteri per la classificazione degli immobili e di una serie di meccanismi per adeguare automaticamente i valori patrimoniali e delle rendite dei fabbricati in base alle variazioni del mercato. Proprio quest’ultima fase è quella che sta agitando diverse forze dell’esecutivo e le associazioni di proprietari immobiliari, che temono un aumento di tasse all’orizzonte.
Il secondo comma dell’articolo 6, oggetto della discordia, prevede infatti di integrare le informazioni attualmente disponibili nel catasto, attribuendo “a ciascuna unità immobiliare, oltre alla rendita catastale determinata secondo la normativa attualmente vigente, anche il relativo valore patrimoniale e una rendita attualizzata in base ai valori normali espressi dal mercato” e introducendo meccanismi di adeguamento periodico.
Al momento, infatti, le rendite catastali (ovvero, il valore attribuito, con finalità fiscali, a tutti gli immobili in grado di produrre o generare reddito) non corrispondono ai valori di mercato. I parametri in base a cui vengono calcolate sono vecchi di decenni e di conseguenza generano ampie discrepanze sia tra un territorio e l’altro che all’interno dello stesso comune.
Il comma 2 punta a risolvere tali discrepanze almeno sulla carta, assegnando a ciascuna unità immobiliare un valore patrimoniale e una rendita in linea con gli attuali valori di mercato. Alcune forze politiche e associazioni di proprietari immobiliari, tuttavia, temono che tale riforma possa portare ad aumentare la tassazione sugli immobili, con effetti diretti sull’Imu ed anche sul valore della casa ai fini Isee.
L’incremento del valore patrimoniale oltre che per l’Imu avrebbe infatti ripercussioni anche sul calcolo dell’Isee, con il risultato che molti che oggi godono di agevolazioni e aiuti potrebbero vederseli negare per la rivalutazione della casa di proprietà.
Prospettiva fin qui smentita dal premier Draghi, che assicura: “Non ci sarà nessun aumento delle tasse”.
A temere maggiormente l’introduzione di nuovi criteri per la classificazione degli immobili sono, in particolare, i proprietari delle dimore più esclusive e di lusso, come le ville sul lago o gli attici nelle grandi città. Secondo l’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, la riforma delle categorie catastali e la rivalutazione dei cespiti trasformare in dimore di lusso non meno di 4 milioni e 401mila immobili nella sola Lombardia
I proprietari che sarebbero così costretti a versa l’Imu, secondo le stime, sono 1.695.383 a Milano, 504.839 in provincia di Bergamo, 616.432 a Brescia, 262.712 a Como, 163.484 a Cremona, 166.821 a Lecco, 77.717 a Lodi, 173.802 a Mantova, 203.236 a Pavia, 138.558 a Sondrio, 386.172 a Varese.
Le nuove regole dovrebbero scattare a partire dal 2026. La riforma prevede che entro il 2026 si completi il monitoraggio e aggiornamento del patrimonio immobiliare allo scopo di mappare statisticamente la situazione corrente.
In una fase successiva, i Comuni saranno divisi in aree di mercato omogenee ed infine sarà aggiornato il sistema di classificazione degli immobili (da numero di vani a metri quadrati), delle classi e delle categorie catastali ai fini del calcolo delle rendite. Le nuove informazioni raccolte con le modifiche previste dal catasto saranno rese disponibili “a decorrere dal 1° gennaio 2026”.
Sulla questione della riforma del catasto non è comunque stato messo il punto finale: sulla strada che porterà all’approvazione della legge delega sul fisco potrebbero esserci modifiche e novità. Continueremo ad aggiornarvi.