Può capitare di voler commercializzare il proprio appartamento, salvo scoprire, a seguito delle necessarie verifiche catastali, che l’immobile non risulta regolarmente registrato a Catasto o presenti delle difformità o degli abusi edilizi. Come muoversi in questi casi? In questa guida, proveremo a chiarire le idee sulla pratica di accatastamento degli immobili e risponderemo alla domanda posta in apertura di questo approfondimento.
Partiamo dal chiarire i concetti preliminari. L’accatastamento è un processo atto a identificare un fabbricato, evidenziandone i dati di base e la rendita fiscale. In pratica, con l’accatastamento si crea la “carta d’identità” di un immobile.
L’iscrizione di un immobile al Catasto richiede una serie di adempimenti burocratici e l’intervento di un tecnico, come un architetto o un geometra.
Il risultato del procedimento è rappresentato dall’elaborazione di un documento utile al calcolo delle tasse sull’immobile ed alla determinazione di caratteristiche come l’agibilità e l’abitabilità.
I casi per i quali si richiede l’avvio di una pratica di accatastamento sono principalmente due:
1. Quando si costruiscono nuovi immobili: in questo caso, l’accatastamento serve da censimento della proprietà e consente di attribuire un valore fiscale all’immobile.
2. Quando si effettuano ristrutturazioni, ampliamenti, restauri e cambi di destinazione d’uso degli immobili.
Accatastare un immobile significa dunque identificare quello specifico immobile nei pubblici registri dell’Agenzia delle Entrate e assegnargli una categoria specifica: per saperne di più sulle categorie catastali, vi rimandiamo a questa nostra guida dedicata.
L’accatastamento serve inoltre a stabilire la rendita catastale: il valore attribuito, con finalità fiscali, a tutti gli immobili in grado di produrre o generare reddito, che è la base per il calcolo di diverse imposte.
Esistono tuttavia alcune tipologie di immobili che sono esclusi dall’obbligo di accatastamento, in base a quanto disposto dal Decreto del Ministero delle Finanze numero 28 del 1998. Nello specifico:
- manufatti con superficie coperta inferiore a 8 metri quadrati;
- serre adibite alla coltivazione e protezione delle piante sul suolo naturale;
- vasche per l’acquacoltura o di accumulo per l’irrigazione dei terreni;
- manufatti isolati privi di copertura;
- tettoie, porcili, pollai, casotti, concimaie, pozzi e simili, di altezza utile inferiore a 1,80 metri, purché di volumetria inferiore a 150 metri cubi;
- manufatti precari, privi di fondazione, non stabilmente infissi al suolo;
- fabbricati in corso di costruzione-definizione;
- fabbricati che presentano un accentuato livello di degrado (collabenti);
- beni costituenti infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione.
I motivi per i quali un immobile potrebbe non risultare al Catasto sono diversi.
Potrebbe trattarsi di una mancata comunicazione o aggiornamento dei dati, ma anche di errori catastali quali inesattezze o sviste nell’acquisizione dei dati da parte degli uffici di competenza.
In generale, gli errori più frequenti sono tipo anagrafico o relativi all’immobile. Ad esempio:
- Errori di digitazione per codice fiscale, nome e cognome dell’intestatario;
- Indirizzo dell’immobile;
- Segnalazione di incoerenza per fabbricato “mai dichiarato”;
- Variazioni sull’immobile non dichiarate.
La tanto discussa riforma del Catasto punta, tra le altre cose, a scovare i cosiddetti “immobili fantasma” (abusivi o non registrati a Catasto), mappandoli e censendoli.
In caso di mancato accatastamento di un immobile, si rischiano delle sanzioni che vanno da un minimo compreso tra 268 euro e 1.032 euro ad un massimo compreso tra 2.066 euro e 8.624 euro.
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate può intervenire attribuendo una rendita presunta all’immobile, con successivo accatastamento.
Il costo dell’accatastamento di un immobile dipende dal tariffario del professionista incaricato e dalla tipologia di procedimento: nel caso di una nuova costruzione, la procedura si articola in più passaggi, che comportano l’utilizzo di due diversi software, Pregeo e Docfa. Il costo medio per la pratica si aggira intorno ai 1.500/2.500 euro a seconda della complessità dei rilievi.
Nel caso invece dell’accatastamento di un immobile già iscritto in Catasto, il costo è di circa 400/800 euro a seconda della complessità della pianta dell’immobile.
Anche la dimensione e l’ubicazione dell’immobile possono incidere sui costi.
All’onorario del tecnico bisogna inoltre aggiungere i diritti erariali, che vanno da 50 euro a 100 euro per scheda.
Prima di procedere alla vendita di un immobile, è fondamentale verificarne la situazione catastale.
Non è infatti possibile vendere un immobile se non è regolarmente accatastato, se l’intestazione catastale non corrisponde alla realtà e neppure se la planimetria catastale non raffigura esattamente lo stato di fatto dell’immobile. Gli stessi dati caratteristici dell’immobile (consistenza, categoria, classe e rendita catastale) devono risultare aggiornati.
La mancanza della dichiarazione di conformità catastale determina la nullità dell’atto di compravendita e il venditore potrebbe essere tenuto a corrispondere dei risarcimenti.
Il venditore, prima del rogito, ha l’obbligo di verificare la situazione catastale e rilasciare una dichiarazione che attesti la corrispondenza tra i dati catastali, le planimetrie catastali e lo stato dell’immobile.
Se la casa non risulta al catasto o dovessi riscontrare delle difformità catastali, prima di procedere alla compravendita devi rivolgerti ad un professionista per sapere quali accorgimenti prendere per regolarizzare la posizione dell’immobile.
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